domenica 14 giugno 2015

IL RACCONTO DI RICCARDO LUCCHETTI

"UN EMIGRANTE "PERICOLOSO", UN PROZIO PATERNO.

Giovanni Minut era il prozio di mio padre, nasce a Visco, nel Friuli ancora austriaco, il 26 dicembre 1895, morirà a Montevideo (Uruguay), il 10 luglio 1967.
Era uno studente brillante e volenteroso, ciò gli permise di ricever una borsa di studio, grazie alla quale si diplomò presso la scuola serale di Agraria a Gorizia.
Come tanti ragazzi nati in quegli anni, anche lasua vita fu segnata dalla Prima Guerra Mondiale.
A Trieste, ancora appartenente all'Austria, la Prima Guerra Mondiale inizià nel luglio del 1914, subito dopo l'attentato di Sarajevo. L'Italia, in quel primo anno di guerra, era ancora neutrale.
Il prozio Giovanni fu uno dei ragazzi del famoso "97mo Reggimento Fanteria dell'Impero Austroungarico in cui combatterono molti triestini, istriani, friulani e sloveni. Famoso perché passò alla storia come il reggimento dei vinti, degli sconfitti.
Nell'agosto del 1914 venne decimato durante il primo scontro tra le truppe austriache e quelle della Russia zarista in Galizia, morirono più del 75 per cento dei giovani soldati, molti furono fatti prigionieri.
Giovanni fu uno di loro.
Nel corso del 1917 ci furono profondi cambiamenti in Russia, lo Zar Nicola II fu costretto ad abdicare e nacque il nuovo Stato Sovietico, governato dal Partito socialista bolscevico di LENIN.
In quei mesi, durante la prigionia, Giovanni, che parlava correttamente il tedesco, ebbe modo di conoscere il Capitale di Marx e fu così che abbracciò gli ideali del Socialismo.
Una volta liberato e tornato nel suo Friuli, svolse un'infaticabile attività di "agitatore" socialista e poi comunista, organizzò i contadini nelle leghe rosse, recandosi nelle campagne della Bassa Friulana mosso dal desiderio di riscattarli da una condizione di povertà e sfruttamento.
Si era più o meno a cavallo di quello che viene indicato come il Biennio Rosso: cioè quel periodo della storia d'Italia compreso tra il 1919 e il 1920, caratterizzato da una serie di lotte operaie e contadine organizzate dai partiti di sinistra.
Nel 1921 le sue poesie "impegnate" furono pubblicate in un volumetto RIMIS FURLANIS, in cui egli descrive la realtà contadina come un mondo da aiutare attraverso la lotta di classe e la rivoluzione.
Per la sua attività di agitatore politico, fu però ben presto preso di mira dagli squadristi fascisti, lui e la sua famiglia subirono più volte delle aggressioni. L'avvento del fascismo nel 1922 lo portò a considerare definitivamente l'idea di abbandonare l'ITALIA.
La maggior parte degli emigrati di quegli anni scelse come mete l'Argentina e il Brasile; anche Giovanni Minut nel 1923 emigrò in Argentina, decise in seguito di stabilirsi in Uruguay.
Nel sito del CEMILA Centro de Estudios Migratorios Latinoamericanos, abbiamo rintracciato il suo nome: vi si legge che Minut Giovanni di 28 anni, cogniugato, di professione agronomo, è arrivato a Buenos Aires con il barco (piroscafo) Belvedere, proveniente da Trieste il 26/07/1923.
Il piroscafo Belvedere è stato costruito dai Cantieri Navali Triestini a Monfalcone nel 1913 poteva trasportare fino a 1544 passeggeri.
Costruito per Austro-Americana Line, batteva bandiera austriaca per servizio Trieste - Sud America e New York.
A Montevideo (Uruguay) il prozio Giovanni Trovò facilmente lavoro nel settore dell'allevamento molto sviluppato in quel paese, facendosi un nome nell'industria del latte, i documenti in nostro possesso lo indicano come ingegnere agrario, ciò ci fa presupporre una laurea in Agraria conseguita a Montevideo successivamente.

IL RACCONTO DI GAIA COMAR


Mia nonna Maria racconta: la sua famiglia da parte materna era originaria di Umago. La nonna è nata quando l'Istria era Italia (13 aprile 1932).
L'Italia aveva firmato l'armistizio con gli alleati l'8 settembre 1943 e la Jugoslavia aveva occupato l'Istria, la Dalmazia e Trieste. Dopo la conquista fecero emigrare con mille sopprusi, per ordine del generale Tito, gli italiani dall'Istria, compresa la famiglia di mia nonna. Vennero fatti andare via perché erano italiani e non erano ben voluti dal regime jugoslavo.
Nel 1944 la nonna aveva finito la scuola perché aveva già 12 anni e in quel periodo la scuola arrivava fino alla sesta classe. La mamma della nonna la mandò a casa di un'amica di famiglia per insegnarle a cucire insieme ad una sua amica. Impararono molto velocemente a fare questo lavoro e allora facevano consegne a domicilio. Un giorno la nonna e la sua amica dovevano consegnare dei vestiti ad una signora  poco fuori Umago, a circa 1 km dal paese sul mare. Mentre camminavano hanno sentito degli aerei inglesi che iniziarono a mitragliare a 100 metri da loro due. Iniziarono a correre molto velocemente e si nascosero. Le mitragliatrici spararono per circa 10 minuti. Dopodichè tornarono a casa molto spaventate. Gli inglesi mitragliarono perché in mare c'erano le navi nemiche dei tedeschi.
Mentre c'era ancora la guerra la sera venivano delle grandi navi armate per la guerra e pattugliavano in cerca di nemici. Questi barconi venivano spesso ad Umago perché dicevano che era un posto ben protetto dagli inglesi e dagli americani. Un giorno però gli aerei mitragliarono i barconi dei tedeschi perché li avevano trovati. Una paesana di nome Anita Vardabasso si nascose tra due muri maestri della sua casa perché era il posto più sicuro dove nascondersi. In quel momento gli aerei tirarono delle piccole bombe e colpirono la signora Anita alle gambe e gliele tagliarono. La signora morì poco dopo.
La nonna ha lasciato casa sua quando aveva 17/18 anni insieme a sua mamma e a suo fratello. Suo papà invece, era fuggito già nel 1946 perché aveva partecipato al recupero dei cadaveri di tre suoi compaesani, trovati in una foiba. Grazie ad una "soffiata" di un suo amico, membro della guardia popolare, il mio bisnonno venne messo in guardia e organizzò una fuga di notte. Partì da Umago e arrivo a Trieste, dove rimase un mese per poi partire verso Venezia dove trovò lavoro come cuoco all'albergo Dardanelli dove alloggiavano gli ufficiali dell'esercito inglese.
Ma torniamo al viaggio della nonna: partirono da Umago per Trieste il 18 dicembre 1949, furono messi letteralmente fuori dalla porta di casa. I mobili furono caricati su un camion, la bisnonna sali dietro e la nonna, che era raffreddata, fu fatta salire in cabina con l'autista e un membro della guardia popolare, incaricato di verificare che lasciassero il territorio della Jugoslavia. Per poter portare con loro la radio e la macchina da cucire furono costrette a pagare una forte somma di denaro. Alla sera, arrivate a Trieste furono ospitate da una sorella della bisnonna, in Viale Miramare. Lì rimasero circa un mese per poi trasferirsi in una stanza ammobiliata con uso del bagno in via della Sorgente.
Nel 1952, grazie ai guadagni del bisnonno che era sempre in viaggio sulle navi, riuscirono ad acquistare un appartamento che però era occupato da una coppia con la quale convissero un paio di mesi. Dopo poco tempo la coppia se ne andò e l'appartamento rimase a loro disposizione, e la nonna vi rimase per circa 12 anni.
Nel 1964 la nonna venne in Salita Cedassamare. Era già sposata e aveva già avuto il primo figlio, mio zio Stefano che aveva 5 anni.
Nel 1965 la casa era pronta. Nella casa pluri-famigliare quindi vennero ad abitarci i suoi genitori, suo fratello che nel frattempo si era sposato, e la nonna con suo figlio Stefano e suo marito Giorgio. Intanto il mio bisnonno Tony continuava a lavorare sulle grandi navi come Chef e viaggiava in tutto il mondo. Tony cercava di tramandarle la sua passione per la cucina ma la nonna non ne voleva sapere. Adesso molto spesso ci cucina dei buonissimi dolci tipici di Umago, ad esempio la pinza che quando lei era ancora ad Umago, veniva cotta in un forno a legna che non tutti avevano allora di andava da chi ce lo aveva e si "prenotava" il turno tra famiglie.
La nonna si considera fortunata perché la sua famiglia poteva contare sui guadagni di suo papà che si era imbarcato sulle prime navi che avevano ripreso a navigare, subito dopo la fine della guerra. Il lavoro era ben pagato ma i rischi erano tanti poiché c'erano ancora tantissime mine abbandonate dopo la guerra, lungo le rotte commerciali più importanti. Tuttavia la vera grande fortuna è stata per tutti l'aver vissuto così a lungo nonostante la guerra.

GAIA COMAR, classe IIIB, Scuola Media De Marchesetti